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Il sogno americano? Studiare in Italia
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Il sogno americano? Studiare in Italia
Boom di universitari. Solo la Gran Bretagna è più popolare La ricerca: "Progettano il loro futuro nell’economia globale"
INVIATO A NEW YORK
La storia di Amanda Knox non ha avuto effetti: l’Italia resta in cima ai desideri degli studenti americani che vogliono fare un’esperienza all’estero. Non è vero il contrario, però. I nostri ragazzi sono molto indietro nella graduatoria di chi va a specializzarsi negli Stati Uniti, se paragonati al numero di inglesi, francesi e tedeschi, per non parlare di cinesi e indiani. Un elemento che fa riflettere sulle abitudini degli italiani, la nostra apertura verso il mondo, e in definitiva la capacità di competere sul mercato globale.
I dati di cui parliamo sono contenuti nel rapporto «Open Doors» dell’Institute of International Education (IIE), l’organizzazione americana che gestisce gli scambi accademici da e per l’estero, e le borse di studio Fulbright. I numeri del 2010 sono da una parte lusinghieri e dall’altra deprimenti, per il nostro Paese. L’Italia è rimasta al secondo posto tra le destinazioni preferite dagli studenti americani, con 27.940 presenze, cioè un aumento del 2,1% rispetto all’anno precedente. Meglio di noi ha fatto solo la Gran Bretagna, favorita da ovvie ragioni di storia e tradizioni, con 32.683 arrivi, mentre la Spagna comincia ad incalzarci al terzo posto con 25.411. Nella maggior parte dei casi, gli studenti americani vengono grazie a programmi di scambio gestiti dalle università in cui sono iscritti, che li mandano all’estero per un semestre o comunque un periodo di tempo limitato. Tra le tante opzioni ce ne sono alcune specifiche per il Piemonte, come Usac, St. John International University e Torino Study Abroad, che offre corsi dall’archeologia alla legge, dai film alla matematica, in collaborazione con l’International University College of Turin. I costi vanno da 4.200 dollari per l’estate, fino a 10.300 per un semestre. La maggior parte degli iscritti vengono a studiare in inglese materie utili per la loro laurea americana, ma comunque scelgono di farlo in Italia. «La ragione - spiega Allan Goodman, presidente dell’IIE - è che voi avete tutto: un bellissimo Paese, con una grande tradizione culturale, dove si può studiare dall’economia alla moda. Siete sempre stati un’ispirazione per gli Stati Uniti, e molti americanihanno radici da voi».
I dati, però, sono meno lusinghieri quando andiamo a contare gli italiani che vengono a studiare negli Stati Uniti: appena 4.308, contro 9.458 tedeschi, 8.947 inglesi e 8.098 francesi, per non parlare dei 157.558 cinesi o dei 103.895 indiani. Anche il Kenya ci batte, con 4.666 studenti. Come mai? «Io credo risponde Goodman - che molto dipenda dalla crisi economica. I costi delle nostre università sono arrivati alle stelle, e parecchi faticano a sostenerli, anche perché due terzi degli studenti stranieri negli Stati Uniti non ricevono borse di studio e devono pagare tutto da soli». Goodman è generoso con l’Italia, ma la verità è che i problemi di cui parla esistono per tutti, anche per i kenyani. Se noi siamo indietro rispetto a tedeschi, inglesi, francesi e spagnoli (4.330), è perché forse diamo meno importanza all’aspetto internazionale dell’istruzione, che invece cresce negli Usa ed ovunque. Secondo l’Unesco, infatti, il totale dei francesi che studiano all’estero è quasi doppio degli italiani: oltre 70 mila contro 39 mila. «Cinesi e indiani vengono in massa - spiega Goodman - perché sono di più, ma anche perché stimano la qualità dell’educazione che ricevono qui. Lo dimostra il fatto che la maggioranza torna a lavorare nei paesi d’origine: non vengono a cercare un posto, ma a specializzarsi». Una ragionamento che fanno anche gli americani: «I nostri studenti all’estero aumentano perché giudicano fondamentali queste esperienze. Vedono il loro futuro nell’economia globale, e per avere successo in questo mercato devi avere gli occhi aperti sul mondo».
PAOLO MASTROLILLI
INVIATO A NEW YORK
La storia di Amanda Knox non ha avuto effetti: l’Italia resta in cima ai desideri degli studenti americani che vogliono fare un’esperienza all’estero. Non è vero il contrario, però. I nostri ragazzi sono molto indietro nella graduatoria di chi va a specializzarsi negli Stati Uniti, se paragonati al numero di inglesi, francesi e tedeschi, per non parlare di cinesi e indiani. Un elemento che fa riflettere sulle abitudini degli italiani, la nostra apertura verso il mondo, e in definitiva la capacità di competere sul mercato globale.
I dati di cui parliamo sono contenuti nel rapporto «Open Doors» dell’Institute of International Education (IIE), l’organizzazione americana che gestisce gli scambi accademici da e per l’estero, e le borse di studio Fulbright. I numeri del 2010 sono da una parte lusinghieri e dall’altra deprimenti, per il nostro Paese. L’Italia è rimasta al secondo posto tra le destinazioni preferite dagli studenti americani, con 27.940 presenze, cioè un aumento del 2,1% rispetto all’anno precedente. Meglio di noi ha fatto solo la Gran Bretagna, favorita da ovvie ragioni di storia e tradizioni, con 32.683 arrivi, mentre la Spagna comincia ad incalzarci al terzo posto con 25.411. Nella maggior parte dei casi, gli studenti americani vengono grazie a programmi di scambio gestiti dalle università in cui sono iscritti, che li mandano all’estero per un semestre o comunque un periodo di tempo limitato. Tra le tante opzioni ce ne sono alcune specifiche per il Piemonte, come Usac, St. John International University e Torino Study Abroad, che offre corsi dall’archeologia alla legge, dai film alla matematica, in collaborazione con l’International University College of Turin. I costi vanno da 4.200 dollari per l’estate, fino a 10.300 per un semestre. La maggior parte degli iscritti vengono a studiare in inglese materie utili per la loro laurea americana, ma comunque scelgono di farlo in Italia. «La ragione - spiega Allan Goodman, presidente dell’IIE - è che voi avete tutto: un bellissimo Paese, con una grande tradizione culturale, dove si può studiare dall’economia alla moda. Siete sempre stati un’ispirazione per gli Stati Uniti, e molti americanihanno radici da voi».
I dati, però, sono meno lusinghieri quando andiamo a contare gli italiani che vengono a studiare negli Stati Uniti: appena 4.308, contro 9.458 tedeschi, 8.947 inglesi e 8.098 francesi, per non parlare dei 157.558 cinesi o dei 103.895 indiani. Anche il Kenya ci batte, con 4.666 studenti. Come mai? «Io credo risponde Goodman - che molto dipenda dalla crisi economica. I costi delle nostre università sono arrivati alle stelle, e parecchi faticano a sostenerli, anche perché due terzi degli studenti stranieri negli Stati Uniti non ricevono borse di studio e devono pagare tutto da soli». Goodman è generoso con l’Italia, ma la verità è che i problemi di cui parla esistono per tutti, anche per i kenyani. Se noi siamo indietro rispetto a tedeschi, inglesi, francesi e spagnoli (4.330), è perché forse diamo meno importanza all’aspetto internazionale dell’istruzione, che invece cresce negli Usa ed ovunque. Secondo l’Unesco, infatti, il totale dei francesi che studiano all’estero è quasi doppio degli italiani: oltre 70 mila contro 39 mila. «Cinesi e indiani vengono in massa - spiega Goodman - perché sono di più, ma anche perché stimano la qualità dell’educazione che ricevono qui. Lo dimostra il fatto che la maggioranza torna a lavorare nei paesi d’origine: non vengono a cercare un posto, ma a specializzarsi». Una ragionamento che fanno anche gli americani: «I nostri studenti all’estero aumentano perché giudicano fondamentali queste esperienze. Vedono il loro futuro nell’economia globale, e per avere successo in questo mercato devi avere gli occhi aperti sul mondo».
PAOLO MASTROLILLI
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