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Studiare all'estero per una anno: solo 1 prof su 3 dice sì
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Studiare all'estero per una anno: solo 1 prof su 3 dice sì
Rapporto di intercultura:
in troppi frenano per paura che i ragazzi restino indietro nel programma.
ROMA - Un anno di high school negli Stati uniti per i più fortunati. Lo studio in inglese di una materia «normale» come la fisica (sì, è una materia normale). Ma anche uno straniero come vicino di banco o il semplice gemellaggio con un liceo di un altro Paese. Mescolare per bene, in tutto gli ingredienti sono 16, ed ecco servito l'indice di internazionalizzazione delle scuole italiane. La buona notizia è che stiamo lentamente allargando il nostro grado di apertura al mondo. Quella cattiva è che ci sono ancora troppe resistenze. E a volte sono proprio i professori a frenare i ragazzi perché, sguardo severo dietro gli occhiali, «se parti poi resti indietro con il programma».
A raccontare tutto è il secondo rapporto dell'Osservatorio sull'internazionalizzazione delle scuole, promosso dalla Fondazione Intercultura e dalla Fondazione Telecom Italia. L'anno scorso l'indice medio nazionale aveva raggiunto quota 37. Adesso abbiamo fatto tre passettini in più, siamo a 40. La ricerca - una serie di interviste ai presidi di scuole superiori realizzato da Ipsos - si è concentrata su cinque regioni. Le Marche sono internazionali come la Lombardia (43), la Toscana sta nel mezzo con 40, mentre più indietro annaspano la Puglia con 36 e il Molise con 34. Il liceo scientifico è più internazionale del classico, l'istituto commerciale più di quello tecnico. Le cose vanno un po' meglio, «eppur ci si muove» dice il rapporto in prima pagina. «Oggi - dice Roberto Ruffino, segretario generale della Fondazione Intercultura - la scuola non deve preparare più a vivere nel paesello d'origine ma a diventare cittadini del mondo. Ed i progetti internazionali, tutti, sono il modo migliore per farlo. La maggior parte degli insegnanti lo sa bene».
Ma non sempre va così. Perché le scuole non partecipano a queste attività? Dietro l'impossibilità di trovare finanziamenti, al primo posto, c'è la scarsa adesione da parte degli insegnanti, con il 35%. Certo, la ricerca è basata sulle interviste anonime a 494 presidi: la tentazione dello scaricabarile va messa nel conto. Ma c'è anche un'altra tabella che fa riflettere. Spostiamo la lente d'ingrandimento sui ragazzi che vanno a studiare un anno all'estero, l'attività promossa fin dal 1955 proprio da Intercultura anche con una serie di borse di studio. Solo un professore su tre, sempre secondo i presidi, collabora attivamente al progetto. Il 58% subisce passivamente la scelta della scuola, mentre il 10% «cerca di dissuadere gli studenti dalla partecipazione». Addirittura.
«Sì - dice Francesco Maria Orsolini, preside del liceo classico Stelluti di Fabriano che partecipa da anni a queste iniziative - c'è ancora chi pensa che partire faccia restare i ragazzi indietro con il programma. Per fortuna nella mia scuola non succede, ma è un atteggiamento che conosco. Ed è sbagliatissimo». Chi studia un anno all'estero, in effetti, può saltare una parte del programma della scuola di provenienza. Per questo, al rientro, deve superare degli esami che certificano il riallineamento. «Ma siamo flessibili - dice ancora il preside del liceo di Fabriano - e poi con internet i professori che proprio ci tengono possono seguire i ragazzi anche dall'altra parte dell'oceano».
In parte il problema è fisiologico. «Il preside - dice Ruffino, il segretario della fondazione Intercultura - vede la scuola nel suo complesso, il professore guarda alla sua materia. L'ossessione del programma può scattare». Ma è sbagliato ridurre tutto ad una questione didattica: «Chi parte allarga i suoi orizzonti. E questo arricchisce la cultura di una persona e lo aiuta pure a trovare un lavoro migliore».Lorenzo Salvia
05 settembre 2010
in troppi frenano per paura che i ragazzi restino indietro nel programma.
ROMA - Un anno di high school negli Stati uniti per i più fortunati. Lo studio in inglese di una materia «normale» come la fisica (sì, è una materia normale). Ma anche uno straniero come vicino di banco o il semplice gemellaggio con un liceo di un altro Paese. Mescolare per bene, in tutto gli ingredienti sono 16, ed ecco servito l'indice di internazionalizzazione delle scuole italiane. La buona notizia è che stiamo lentamente allargando il nostro grado di apertura al mondo. Quella cattiva è che ci sono ancora troppe resistenze. E a volte sono proprio i professori a frenare i ragazzi perché, sguardo severo dietro gli occhiali, «se parti poi resti indietro con il programma».
A raccontare tutto è il secondo rapporto dell'Osservatorio sull'internazionalizzazione delle scuole, promosso dalla Fondazione Intercultura e dalla Fondazione Telecom Italia. L'anno scorso l'indice medio nazionale aveva raggiunto quota 37. Adesso abbiamo fatto tre passettini in più, siamo a 40. La ricerca - una serie di interviste ai presidi di scuole superiori realizzato da Ipsos - si è concentrata su cinque regioni. Le Marche sono internazionali come la Lombardia (43), la Toscana sta nel mezzo con 40, mentre più indietro annaspano la Puglia con 36 e il Molise con 34. Il liceo scientifico è più internazionale del classico, l'istituto commerciale più di quello tecnico. Le cose vanno un po' meglio, «eppur ci si muove» dice il rapporto in prima pagina. «Oggi - dice Roberto Ruffino, segretario generale della Fondazione Intercultura - la scuola non deve preparare più a vivere nel paesello d'origine ma a diventare cittadini del mondo. Ed i progetti internazionali, tutti, sono il modo migliore per farlo. La maggior parte degli insegnanti lo sa bene».
Ma non sempre va così. Perché le scuole non partecipano a queste attività? Dietro l'impossibilità di trovare finanziamenti, al primo posto, c'è la scarsa adesione da parte degli insegnanti, con il 35%. Certo, la ricerca è basata sulle interviste anonime a 494 presidi: la tentazione dello scaricabarile va messa nel conto. Ma c'è anche un'altra tabella che fa riflettere. Spostiamo la lente d'ingrandimento sui ragazzi che vanno a studiare un anno all'estero, l'attività promossa fin dal 1955 proprio da Intercultura anche con una serie di borse di studio. Solo un professore su tre, sempre secondo i presidi, collabora attivamente al progetto. Il 58% subisce passivamente la scelta della scuola, mentre il 10% «cerca di dissuadere gli studenti dalla partecipazione». Addirittura.
«Sì - dice Francesco Maria Orsolini, preside del liceo classico Stelluti di Fabriano che partecipa da anni a queste iniziative - c'è ancora chi pensa che partire faccia restare i ragazzi indietro con il programma. Per fortuna nella mia scuola non succede, ma è un atteggiamento che conosco. Ed è sbagliatissimo». Chi studia un anno all'estero, in effetti, può saltare una parte del programma della scuola di provenienza. Per questo, al rientro, deve superare degli esami che certificano il riallineamento. «Ma siamo flessibili - dice ancora il preside del liceo di Fabriano - e poi con internet i professori che proprio ci tengono possono seguire i ragazzi anche dall'altra parte dell'oceano».
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05 settembre 2010
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