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#Addio al valore della #laurea?
Nuove regole in arrivo sull'#università: una parte del governo vorrebbe approvarle a breve
Se Mario Monti potesse, il valore legale del titolo di studio sarebbe già carta straccia. Non tutti all’interno del governo però sono d’accordo e ancora una volta un esecutivo si divide su una questione che da anni è sul tavolo dei ministri dell’Istruzione. Dove però è rimasta, almeno finora. Durante le oltre otto ore di consiglio dei ministri di venerdì scorso se n’è parlato di nuovo quando si è deciso di cambiare le norme sull’accesso dei giovani all’esercizio delle professioni e prevedere la possibilità di svolgere i primi sei mesi di tirocinio già durante la laurea.
Monti sarebbe andato oltre, avrebbe rotto gli indugi e agito subito. Il ministro del’Interno Anna Maria Cancellieri, invece, si è opposta, e il ministro della Giustizia Paola Severino ha chiesto gradualità. Ne è nato un lungo dibattito che ha impedito di arrivare ad una soluzione ma ormai l’argomento è fra quelli in discussione e se ne parlerà ancora. Forse un provvedimento potrebbe arrivare già nel prossimo consiglio dei ministri se la fazione pro-abolizione dovesse spuntarla visto che ha fans trasversali e diffusi dal Pdl, alla Lega, al Pd, la Confindustria, la Crui dei rettori italiani, e persino tra i grillini come risulta a ripercorrere indietro il successo del tema fino all’ultima indagine conoscitiva in Senato avviata la scorsa primavera.
La novità a cui si sta lavorando in queste ore prevede un intervento nei criteri di selezione utilizzati nei concorsi pubblici. Dovrebbe cader eil vincolo per il tipo di laurea, fatta eccezione per i settori in cui siano necessarie competenze tecniche specifiche. Il laureato in Lettere potrebbe diventare dirigente di un ente pubblico, purché dimostri di essere in grado di superare brillantemente il concorso, e quindi però dovrebbero anche esserci concorsi in futuro, visto che da tempo non ce n’é traccia. Nemmeno il voto di laurea dovrebbe più avere un peso nella selezione ma diventerebbe importante l’ateneo dove ci si è laureati. E, quindi, un titolo conquistato anche a pieni voti nell’università X non avrebbe valore mentre lo avrebbe un titolo conquistato anche con una valutazione non brillante in un’altra università che abbia requisiti particolari che molto probabilmente verranno definiti sulla base dei parametri individuati dall’Anvur, l’Agenzia per la valutazione a cui il governo Monti proprio venerdì scorso ha attribuito i compiti di certificazione della qualità dei corsi e delle sedi universitarie, una sorta di bollino per far capire dove si studia meglio agli studenti.
Contrari i sindacati dei docenti, dall’Andu alla Flc-Cgil, la Cisl, la Uil, ma anche la Rete 29 Aprile e le associazioni di base. Consideriamo il mantenimento del valore legale del titolo di studio un dato centrale del sistema universitario italiano e paventiamo che la sua abolizione possa incrementare le diseguaglianze sociali ed economiche». Scandalizzato il Pdci. Riccardo Messina: «Una norma classista, discriminatoria e da un forte retrogusto leghista. Se questo principio venisse approvato, ci sarebbe milioni di studenti tagliati fuori dalla possibilità di diventare classe dirigente di questo paese solo perchè senza risorse economiche o perchè nati in zone disagiate».
FLAVIA AMABILE
Se Mario Monti potesse, il valore legale del titolo di studio sarebbe già carta straccia. Non tutti all’interno del governo però sono d’accordo e ancora una volta un esecutivo si divide su una questione che da anni è sul tavolo dei ministri dell’Istruzione. Dove però è rimasta, almeno finora. Durante le oltre otto ore di consiglio dei ministri di venerdì scorso se n’è parlato di nuovo quando si è deciso di cambiare le norme sull’accesso dei giovani all’esercizio delle professioni e prevedere la possibilità di svolgere i primi sei mesi di tirocinio già durante la laurea.
Monti sarebbe andato oltre, avrebbe rotto gli indugi e agito subito. Il ministro del’Interno Anna Maria Cancellieri, invece, si è opposta, e il ministro della Giustizia Paola Severino ha chiesto gradualità. Ne è nato un lungo dibattito che ha impedito di arrivare ad una soluzione ma ormai l’argomento è fra quelli in discussione e se ne parlerà ancora. Forse un provvedimento potrebbe arrivare già nel prossimo consiglio dei ministri se la fazione pro-abolizione dovesse spuntarla visto che ha fans trasversali e diffusi dal Pdl, alla Lega, al Pd, la Confindustria, la Crui dei rettori italiani, e persino tra i grillini come risulta a ripercorrere indietro il successo del tema fino all’ultima indagine conoscitiva in Senato avviata la scorsa primavera.
La novità a cui si sta lavorando in queste ore prevede un intervento nei criteri di selezione utilizzati nei concorsi pubblici. Dovrebbe cader eil vincolo per il tipo di laurea, fatta eccezione per i settori in cui siano necessarie competenze tecniche specifiche. Il laureato in Lettere potrebbe diventare dirigente di un ente pubblico, purché dimostri di essere in grado di superare brillantemente il concorso, e quindi però dovrebbero anche esserci concorsi in futuro, visto che da tempo non ce n’é traccia. Nemmeno il voto di laurea dovrebbe più avere un peso nella selezione ma diventerebbe importante l’ateneo dove ci si è laureati. E, quindi, un titolo conquistato anche a pieni voti nell’università X non avrebbe valore mentre lo avrebbe un titolo conquistato anche con una valutazione non brillante in un’altra università che abbia requisiti particolari che molto probabilmente verranno definiti sulla base dei parametri individuati dall’Anvur, l’Agenzia per la valutazione a cui il governo Monti proprio venerdì scorso ha attribuito i compiti di certificazione della qualità dei corsi e delle sedi universitarie, una sorta di bollino per far capire dove si studia meglio agli studenti.
Contrari i sindacati dei docenti, dall’Andu alla Flc-Cgil, la Cisl, la Uil, ma anche la Rete 29 Aprile e le associazioni di base. Consideriamo il mantenimento del valore legale del titolo di studio un dato centrale del sistema universitario italiano e paventiamo che la sua abolizione possa incrementare le diseguaglianze sociali ed economiche». Scandalizzato il Pdci. Riccardo Messina: «Una norma classista, discriminatoria e da un forte retrogusto leghista. Se questo principio venisse approvato, ci sarebbe milioni di studenti tagliati fuori dalla possibilità di diventare classe dirigente di questo paese solo perchè senza risorse economiche o perchè nati in zone disagiate».
FLAVIA AMABILE
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