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Il patto d'onore degli studenti del Parini
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091109
Il patto d'onore degli studenti del Parini
la repubblica
09/11/2009 cronaca di milano
Il patto d'onore degli studenti del Parini
"Non copiare e non far copiare" di Franco Vanni
A venti giorni dalla sottoscrizione del “codice morale”, simile a quelli delle università americane, già si vedono i risultati. «Le verifiche sono andate bene — racconta l’insegnante che ha promosso l'iniziativa — senza l’ansia di copiare, i ragazzi sono più concentrati».
La prima riga del patto firmato dagli studenti dice tutto: «Sul mio onore mi impegno a non copiare e a non lasciar copiare». A sottoscrivere le regole di “condotta morale” durante i compiti in classe sono i ragazzi di tre classi del liceo classico Parini: la prima, la seconda e la terza del corso C.
Il testo del codice d’onore è stato proposto agli studenti da Paolo Aziani, professore di Storia e filosofia, loro ne hanno discusso a lungo in assemblea e hanno poi accettato. «Da quando abbiamo stretto il patto - dice Aziani - in classe si affrontano i compiti in modo più sereno, senza lo stress di dover copiare dai compagni o di consultare bigliettini nascosti». Ai ragazzi, in cambio della loro parola, il professore non promette nulla, se non la consapevolezza di vivere la scuola in modo «eticamente giusto». La lettera parla chiaro: «Mi impegno a evitare ogni comportamento teso a falsare i risultati miei o di altri in occasione delle prove di verifica - si legge - non mosso da speranza di premi o da timore di eventuali punizioni».
Arianna Cardella, studentessa in terza, racconta: «In classe abbiamo riflettuto molto, discusso per giorni e firmato solo dopo due settimane. Per noi la cosa moralmente più difficile da accettare è stata l’idea che permettendo a un compagno di copiare in realtà lo si danneggia, non lo si aiuta».
Il 31 ottobre per la terza C è stato il giorno della grande prova: il primo compito in classe di Storia dopo la firma del patto. «Non penso che nessuno abbia copiato - dice Arianna - di certo non ho visto la classica scena di chi allunga il collo verso il foglio del vicino di banco». Il risultato è stato ottimo, con oltre metà della classe sopra il 7 e una sola ragazza insufficiente. «Avevo timore che un piccolo calo di rendimento potesse esserci - dice Aziani - invece è andata benissimo. È la prova che il modello funziona».
La sezione in cui dal 20 ottobre è partita la “sperimentazione morale” aderisce al progetto Brocca, a sua volta un esperimento didattico. Oltre alle normali materie del liceo classico, gli studenti seguono corsi di diritto ed economia, in cui l’educazione civica è parte del programma su cui si viene valutati.
A ispirare Aziani è stata un’iniziativa dell’università Bocconi, dove una task-force di docenti è al lavoro per stendere un “ decalogo dei valori d’ateneo” che gli studenti saranno chiamati a firmare al momento dell’iscrizione, e la cui violazione comporta il “formale biasimo della comunità”. Una strada imboccata dall’ateneo dopo che alcuni studenti sono stati sorpresi a sostenere esami al posto dei compagni, con in tasca tesserini contraffatti. «Sembra che il modello del codice morale sia vincente - dice Aziani - se funziona in università, ho pensato, servirà a responsabilizzare anche i ragazzi del liceo».
Sempre sul modello delle università straniere, oggi il senato accademico della Bicocca si appresta a votare il suo codice d’o nore, rivolto anche a personale e insegnanti. Fra le novità introdotte, anche uno sportello a cui rivolgersi in caso di discriminazioni sul lavoro e molestie sessuali.
(08 novembre 2009)
http://milano.repubblica.it/dettaglio/il-patto-donore-degli-studenti-del-parini-non-copiare-e-non-far-copiare/1773163
09/11/2009 cronaca di milano
Il patto d'onore degli studenti del Parini
"Non copiare e non far copiare" di Franco Vanni
A venti giorni dalla sottoscrizione del “codice morale”, simile a quelli delle università americane, già si vedono i risultati. «Le verifiche sono andate bene — racconta l’insegnante che ha promosso l'iniziativa — senza l’ansia di copiare, i ragazzi sono più concentrati».
La prima riga del patto firmato dagli studenti dice tutto: «Sul mio onore mi impegno a non copiare e a non lasciar copiare». A sottoscrivere le regole di “condotta morale” durante i compiti in classe sono i ragazzi di tre classi del liceo classico Parini: la prima, la seconda e la terza del corso C.
Il testo del codice d’onore è stato proposto agli studenti da Paolo Aziani, professore di Storia e filosofia, loro ne hanno discusso a lungo in assemblea e hanno poi accettato. «Da quando abbiamo stretto il patto - dice Aziani - in classe si affrontano i compiti in modo più sereno, senza lo stress di dover copiare dai compagni o di consultare bigliettini nascosti». Ai ragazzi, in cambio della loro parola, il professore non promette nulla, se non la consapevolezza di vivere la scuola in modo «eticamente giusto». La lettera parla chiaro: «Mi impegno a evitare ogni comportamento teso a falsare i risultati miei o di altri in occasione delle prove di verifica - si legge - non mosso da speranza di premi o da timore di eventuali punizioni».
Arianna Cardella, studentessa in terza, racconta: «In classe abbiamo riflettuto molto, discusso per giorni e firmato solo dopo due settimane. Per noi la cosa moralmente più difficile da accettare è stata l’idea che permettendo a un compagno di copiare in realtà lo si danneggia, non lo si aiuta».
Il 31 ottobre per la terza C è stato il giorno della grande prova: il primo compito in classe di Storia dopo la firma del patto. «Non penso che nessuno abbia copiato - dice Arianna - di certo non ho visto la classica scena di chi allunga il collo verso il foglio del vicino di banco». Il risultato è stato ottimo, con oltre metà della classe sopra il 7 e una sola ragazza insufficiente. «Avevo timore che un piccolo calo di rendimento potesse esserci - dice Aziani - invece è andata benissimo. È la prova che il modello funziona».
La sezione in cui dal 20 ottobre è partita la “sperimentazione morale” aderisce al progetto Brocca, a sua volta un esperimento didattico. Oltre alle normali materie del liceo classico, gli studenti seguono corsi di diritto ed economia, in cui l’educazione civica è parte del programma su cui si viene valutati.
A ispirare Aziani è stata un’iniziativa dell’università Bocconi, dove una task-force di docenti è al lavoro per stendere un “ decalogo dei valori d’ateneo” che gli studenti saranno chiamati a firmare al momento dell’iscrizione, e la cui violazione comporta il “formale biasimo della comunità”. Una strada imboccata dall’ateneo dopo che alcuni studenti sono stati sorpresi a sostenere esami al posto dei compagni, con in tasca tesserini contraffatti. «Sembra che il modello del codice morale sia vincente - dice Aziani - se funziona in università, ho pensato, servirà a responsabilizzare anche i ragazzi del liceo».
Sempre sul modello delle università straniere, oggi il senato accademico della Bicocca si appresta a votare il suo codice d’o nore, rivolto anche a personale e insegnanti. Fra le novità introdotte, anche uno sportello a cui rivolgersi in caso di discriminazioni sul lavoro e molestie sessuali.
(08 novembre 2009)
http://milano.repubblica.it/dettaglio/il-patto-donore-degli-studenti-del-parini-non-copiare-e-non-far-copiare/1773163
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Il patto d'onore degli studenti del Parini :: Commenti
Compito in classe: vietato copiare. - Tiscali notizie 9 novembre 2009
Compito in classe: vietato copiare.
Liceo milanese lancia il codice etico che impegna gli studenti.
di Claudia Mura
Chi non ha sbirciato sul foglio del compagno più bravo per passare il difficile compito di matematica? E chi non si è portato da casa foglietti da nascondere negli angoli più reconditi delle tasche o dei risvolti dei pantaloni per tradurre l’ultima enigmatica versione di greco? Tutte strategie messe a bando nel liceo classico Parini di Milano dove tre classi di studenti hanno sottoscritto Un codice di condotta "morale" per impegnarsi a non copiare durante i compiti in classe.
La proposta, come riporta La Repubblica, viene da un insegnante di Storia e filosofia, che ha convinto la prima, seconda e terza C a sottoscrivere questo patto: "Mi impegno a evitare ogni comportamento teso a falsare i risultati miei o di altri in occasione delle prove di verifica, non mosso da speranza di premio o da timore di eventuali punizioni".
Il professore del Parini è ispirato a un’iniziativa simile dell'Università Bocconi, dove un gruppo di docenti sta promuovendo un decalogo di valori che gli studenti dovranno firmare quando si iscriveranno.
Sul patto “vietato copiare” abbiamo chiesto un commento a due ex studenti famosi: la documentarista e conduttrice tv Tessa Gelisio, e il radioconduttore e autore Marco Balestri che ci hanno raccontato le loro esperienze scolastiche.
Tessa Gelisio: mai copiato, avevo paura e studiavo il doppio degli altri - La studentessa Tessa Gelisio non aveva bisogno di copiare perché studiare le è sempre piaciuto. “Qualche volta ho provato a fare copiare i compagni ma ero troppo imbranata e avevo paura di essere scoperta, arrossivo subito e l’imbarazzo prendeva il sopravvento. Imbrogliare non fa parte della mia natura. Ho sempre avuto un forte senso della lealtà e dell’etica. E poi non studiavo per dimostrare qualcosa ma perché mi piaceva. Non rientrava nel mio modo di fare passare i compiti con i sotterfugi. Sono sempre stata una che per gli esami studiava il doppio di quanto fosse necessario. Credo sia importante che i ragazzi non copino perché devono imparare che alla lunga le scorciatoie non pagano. Non per questione etica ma per l’idea che bisogna lavorare sodo per ottenere qualcosa. Quanto al patto del Parini non credo che questo tipo di impegni si possano contrattualizzare. Credo sia questione più di forma che di sostanza. L’invito a non copiare serve perché chi lo fa poi lo paga in futuro.
Marco Balestri: chi non sa si ingegni - Di opinione completamente diversa il conduttore di “Molto personale” su Radio 101. “L’idea del patto mi sembra una stupidaggine. Copiare è un fatto insito nella scuola stessa. Io ne ho avuto esperienza anche dall’altra parte della cattedra perché a 24 anni insegnavo filosofia al liceo ed ero abbastanza comprensivo, anche perché una cosa copiata spesso ti rimane più impressa. Ma quando andavo io al liceo non c’era bisogno di dire ‘non copiate e non fare copiare’, perché i compiti erano diversi fra i compagni di banco e i vicini. Certo poi ci si organizzava con dei foglietti, dei rullini di carta portati da casa. Io mi scrivevo anche le cose sulle mani. Ma è la vita che ti porta ingegnarti: chi non sa deve darsi da fare. I ragazzi di oggi poi hanno dei mezzi che noi non avevamo. Vanno in bagno e col telefonino fanno di tutto. E poi se patto deve essere che sia ‘io non copio ma se non so qualcosa tu me la rispieghi’”.
09 novembre 2009
http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/09/11/09/codice-etico-non-copiare-12345.html
Liceo milanese lancia il codice etico che impegna gli studenti.
di Claudia Mura
Chi non ha sbirciato sul foglio del compagno più bravo per passare il difficile compito di matematica? E chi non si è portato da casa foglietti da nascondere negli angoli più reconditi delle tasche o dei risvolti dei pantaloni per tradurre l’ultima enigmatica versione di greco? Tutte strategie messe a bando nel liceo classico Parini di Milano dove tre classi di studenti hanno sottoscritto Un codice di condotta "morale" per impegnarsi a non copiare durante i compiti in classe.
La proposta, come riporta La Repubblica, viene da un insegnante di Storia e filosofia, che ha convinto la prima, seconda e terza C a sottoscrivere questo patto: "Mi impegno a evitare ogni comportamento teso a falsare i risultati miei o di altri in occasione delle prove di verifica, non mosso da speranza di premio o da timore di eventuali punizioni".
Il professore del Parini è ispirato a un’iniziativa simile dell'Università Bocconi, dove un gruppo di docenti sta promuovendo un decalogo di valori che gli studenti dovranno firmare quando si iscriveranno.
Sul patto “vietato copiare” abbiamo chiesto un commento a due ex studenti famosi: la documentarista e conduttrice tv Tessa Gelisio, e il radioconduttore e autore Marco Balestri che ci hanno raccontato le loro esperienze scolastiche.
Tessa Gelisio: mai copiato, avevo paura e studiavo il doppio degli altri - La studentessa Tessa Gelisio non aveva bisogno di copiare perché studiare le è sempre piaciuto. “Qualche volta ho provato a fare copiare i compagni ma ero troppo imbranata e avevo paura di essere scoperta, arrossivo subito e l’imbarazzo prendeva il sopravvento. Imbrogliare non fa parte della mia natura. Ho sempre avuto un forte senso della lealtà e dell’etica. E poi non studiavo per dimostrare qualcosa ma perché mi piaceva. Non rientrava nel mio modo di fare passare i compiti con i sotterfugi. Sono sempre stata una che per gli esami studiava il doppio di quanto fosse necessario. Credo sia importante che i ragazzi non copino perché devono imparare che alla lunga le scorciatoie non pagano. Non per questione etica ma per l’idea che bisogna lavorare sodo per ottenere qualcosa. Quanto al patto del Parini non credo che questo tipo di impegni si possano contrattualizzare. Credo sia questione più di forma che di sostanza. L’invito a non copiare serve perché chi lo fa poi lo paga in futuro.
Marco Balestri: chi non sa si ingegni - Di opinione completamente diversa il conduttore di “Molto personale” su Radio 101. “L’idea del patto mi sembra una stupidaggine. Copiare è un fatto insito nella scuola stessa. Io ne ho avuto esperienza anche dall’altra parte della cattedra perché a 24 anni insegnavo filosofia al liceo ed ero abbastanza comprensivo, anche perché una cosa copiata spesso ti rimane più impressa. Ma quando andavo io al liceo non c’era bisogno di dire ‘non copiate e non fare copiare’, perché i compiti erano diversi fra i compagni di banco e i vicini. Certo poi ci si organizzava con dei foglietti, dei rullini di carta portati da casa. Io mi scrivevo anche le cose sulle mani. Ma è la vita che ti porta ingegnarti: chi non sa deve darsi da fare. I ragazzi di oggi poi hanno dei mezzi che noi non avevamo. Vanno in bagno e col telefonino fanno di tutto. E poi se patto deve essere che sia ‘io non copio ma se non so qualcosa tu me la rispieghi’”.
09 novembre 2009
http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/09/11/09/codice-etico-non-copiare-12345.html
Copiare è danno, obbligare a spiare può essere beffa
di Alessandro De Nicola
22 novembre 2009
da il sole24ore.com
«Chi è ladro e chi è spia non è figlio di Maria» ci ripetono fin da bambini. Attenzione: ladro d'accordo, ma spia?
Questo è il dibattito scatenatosi su noisefromamerika.org, il sito animato da economisti italiani che vivono negli Usa. L'occasione è stata offerta da Michele Boldrin, professore della Washington University di St. Louis. Boldrin racconta che, alla domanda di una giornalista italiana riguardo il nuovo codice di onore adottato al Liceo Parini di Milano per il quale gli studenti si impegnano a non copiare e a non far copiare, egli abbia risposto che lo stesso accade negli Stati Uniti; anzi, lì l'honor code richiede persino di denunciare chi copia.
Il fatto che in Italia le abitudini siano diverse e chi non fa copiare è colpevolizzato e se denuncia le malefatte degli altri è una spia (e - aggiungo io- viene pure menato) la dice lunga sulle differenze che ci sono nel nostro paese rispetto ad Oltre Atlantico: clan e inganno da una parte, onestà e meritocrazia dall'altra. In America non si utilizza il verbo to copy ma to cheat che sta per imbrogliare: in un sistema in cui si fanno le classifiche tra chi arriva nel primo 10% del proprio corso e bisogna lottare per essere ammessi nelle grandi università è ovvio che copiare vuol dire raggirare i bravi che rimangono esclusi dai parassiti e può essere addirittura autodistruttivo (paradossalmente chi ha copiato da me può prendermi il posto).
Conclusione di Boldrin: le radici della questione morale stanno anche, e soprattutto, in pratiche culturali come queste.
Allora, sono d'accordo che la mentalità e, ahimè, l'italica celebrazione dei furbi sia alla base dei lati più sgradevoli del nostro carattere nazionale ed altresì un serio impedimento allo sviluppo economico. Tuttavia farei due osservazioni.
La prima è che l'assetto istituzionale può cambiare l'atteggiamento culturale che non è un dato ineliminabile. Mi spiego: se il sistema desse i giusti incentivi, la gente non scopiazzerebbe. In primis, inserire, come auspica pure Boldrin, maggiore competitività. Già ora negli esami di ammissione per le facoltà a numero chiuso si copia assai poco. Ma sono gli insegnanti i maggiori colpevoli: non essendoci per loro alcuna conseguenza negativa se i propri studenti imbrogliano, perché rendersi antipatici? Il massimo che può succedere è che poi alla maturità prendano un voto scarso, ma si potrà sempre dire che la commissione esterna era severa e, in ogni caso, chi ne farà loro un torto? Vi assicuro che evitare comportamenti truffaldini durante i compiti scritti a scuola o all'università è facilissimo e ne parlo per esperienza diretta: basta volerlo.
Seconda osservazione: mentre mi piace l'impegno a non far copiare (con punizione del "corrotto" e del "corruttore"), il dovere di denuncia mi sembra potenzialmente pericoloso ed inefficiente. Non solo perché la delazione è caratteristica dei sistemi totalitari e in ogni ordinamento penale liberale non c'è l'obbligo di denuncia di reati (quindi fatti ben più gravi) per il cittadino normale ma solo per determinate figure (ad esempio i pubblici ufficiali). Inoltre, le "esternalità negative" possono essere notevoli: so che un mio amico ha copiato per la prima volta, lo denuncio perché devo, rovino l'amicizia, e il clima in classe si inacidisce a fronte di che? Meglio lasciare la valutazione caso per caso agli individui che forzarli a spifferare. A far cantare le persone contro voglia si rischiano stonature e stecche.
adenicola@adamsmith.it
di Alessandro De Nicola
22 novembre 2009
da il sole24ore.com
«Chi è ladro e chi è spia non è figlio di Maria» ci ripetono fin da bambini. Attenzione: ladro d'accordo, ma spia?
Questo è il dibattito scatenatosi su noisefromamerika.org, il sito animato da economisti italiani che vivono negli Usa. L'occasione è stata offerta da Michele Boldrin, professore della Washington University di St. Louis. Boldrin racconta che, alla domanda di una giornalista italiana riguardo il nuovo codice di onore adottato al Liceo Parini di Milano per il quale gli studenti si impegnano a non copiare e a non far copiare, egli abbia risposto che lo stesso accade negli Stati Uniti; anzi, lì l'honor code richiede persino di denunciare chi copia.
Il fatto che in Italia le abitudini siano diverse e chi non fa copiare è colpevolizzato e se denuncia le malefatte degli altri è una spia (e - aggiungo io- viene pure menato) la dice lunga sulle differenze che ci sono nel nostro paese rispetto ad Oltre Atlantico: clan e inganno da una parte, onestà e meritocrazia dall'altra. In America non si utilizza il verbo to copy ma to cheat che sta per imbrogliare: in un sistema in cui si fanno le classifiche tra chi arriva nel primo 10% del proprio corso e bisogna lottare per essere ammessi nelle grandi università è ovvio che copiare vuol dire raggirare i bravi che rimangono esclusi dai parassiti e può essere addirittura autodistruttivo (paradossalmente chi ha copiato da me può prendermi il posto).
Conclusione di Boldrin: le radici della questione morale stanno anche, e soprattutto, in pratiche culturali come queste.
Allora, sono d'accordo che la mentalità e, ahimè, l'italica celebrazione dei furbi sia alla base dei lati più sgradevoli del nostro carattere nazionale ed altresì un serio impedimento allo sviluppo economico. Tuttavia farei due osservazioni.
La prima è che l'assetto istituzionale può cambiare l'atteggiamento culturale che non è un dato ineliminabile. Mi spiego: se il sistema desse i giusti incentivi, la gente non scopiazzerebbe. In primis, inserire, come auspica pure Boldrin, maggiore competitività. Già ora negli esami di ammissione per le facoltà a numero chiuso si copia assai poco. Ma sono gli insegnanti i maggiori colpevoli: non essendoci per loro alcuna conseguenza negativa se i propri studenti imbrogliano, perché rendersi antipatici? Il massimo che può succedere è che poi alla maturità prendano un voto scarso, ma si potrà sempre dire che la commissione esterna era severa e, in ogni caso, chi ne farà loro un torto? Vi assicuro che evitare comportamenti truffaldini durante i compiti scritti a scuola o all'università è facilissimo e ne parlo per esperienza diretta: basta volerlo.
Seconda osservazione: mentre mi piace l'impegno a non far copiare (con punizione del "corrotto" e del "corruttore"), il dovere di denuncia mi sembra potenzialmente pericoloso ed inefficiente. Non solo perché la delazione è caratteristica dei sistemi totalitari e in ogni ordinamento penale liberale non c'è l'obbligo di denuncia di reati (quindi fatti ben più gravi) per il cittadino normale ma solo per determinate figure (ad esempio i pubblici ufficiali). Inoltre, le "esternalità negative" possono essere notevoli: so che un mio amico ha copiato per la prima volta, lo denuncio perché devo, rovino l'amicizia, e il clima in classe si inacidisce a fronte di che? Meglio lasciare la valutazione caso per caso agli individui che forzarli a spifferare. A far cantare le persone contro voglia si rischiano stonature e stecche.
adenicola@adamsmith.it
“Sul mio onore mi impegno a non copiare e a non lasciar copiare”
10 December 2009 17
articolo di Pietro Crippa sul blog il faro magazine
Copiare è sbagliato, ma copiare senza farsi beccare è un’arte, dicono quelli dell’ultimo banco. “Promemoria” non più grandi di una carta di caramella, fittamente intessuti di formule e definizioni; gestualità e occhiate codificate per comunicare tra vicini (e lontani!!!) di banco; libri nascosti nei bagni e cellulari accesi stile “uso l’aiuto della chiamata (o meglio, messaggiata) a casa”. E’ innegabile che se studiare richiede energie e impegno, copiare (e, soprattutto, copiare bene) esige invettiva e spirito ardito.
IL PATTO Non la pensa così, invece, chi sta dall’altra parte della cattedra. Ma non solo. Qualche settimana fa, al Liceo Classico Parini di Milano, Paolo Aziani, professore di Storia e filosofia, ha proposto agli studenti la sottoscrizione di un Patto d’onore con il quale si impegnassero a rispettare alcune regole di “condotta morale” atte, anzitutto, a promuovere la meritorcrazia ed eliminare “comportamenti sleali”. Tre classi – la prima, la seconda e la terza della sezione C – hanno aderito dopo averne discusso in assemblea. La lettera parla chiaro: “Mi impegno a evitare ogni comportamento teso a falsare i risultati miei o di altri in occasione delle prove di verifica non mosso da speranza di premi o da timore di eventuali punizioni”. In poche parole, mi impegno a non copiare e a non far copiare. Alla base di questa scelta, la convinzione che “permettendo a un compagno di copiare in realtà lo si danneggia, non lo si aiuta”, come spiega una studentessa.
UNA QUESTIONE CULTURALE Il modello pare funzionare. Un mese dopo si può notare come non solo durante i compiti in classe l’atmosfera è molto più distesa, ma sembra anche che, nel periodo di “sperimentazione” la media voto sia salita, e di molto. Un sistema, quello del Patto d’onore, già da tempo in voga negli Stati Uniti. Oltreoceano, chi copia (e chi lo permette) rischia l’espulsione dall’istituto: “è un problema di cultura” – dice Michele Boldrin, professore di Economia alla Washington university in Saint Louis – “In Italia, chi dice al prof il nome di un compagno che copia, è una spia; negli USA è uno studente modello”. Non è un caso che nel Nuovo Continente, per “copiare” si usi il verbo “to cheat“, cioè “tradire”.
TUTTO SISTEMATO? Tuttavia c’è chi vede anche l’altra faccia della medaglia: secondo Fabio Varieschi, docente di Lettere del Liceo milanese, il Patto d’onore sarebbe “un pasticcio inutile, che deresponsabilizza i professori”, i quali hanno il dovere di “girare tra i banchi” onde evitare la proliferazione di “furbetti”. Ad ogni modo, non è certo con una firma che si creano persone leali e responsabili. Bisognerebbe dunque capire qual è, realmente, il ruolo della scuola: imporre insegnanti-carabinieri che però sono pagati per questo o promuovere accordi tra studenti e professori che però paiono essere nient’altro che espedienti formali per anscondere tendenze che comunque resteranno negli animi dei giovani firmatari? Pietro Crippa
10 December 2009 17
articolo di Pietro Crippa sul blog il faro magazine
Copiare è sbagliato, ma copiare senza farsi beccare è un’arte, dicono quelli dell’ultimo banco. “Promemoria” non più grandi di una carta di caramella, fittamente intessuti di formule e definizioni; gestualità e occhiate codificate per comunicare tra vicini (e lontani!!!) di banco; libri nascosti nei bagni e cellulari accesi stile “uso l’aiuto della chiamata (o meglio, messaggiata) a casa”. E’ innegabile che se studiare richiede energie e impegno, copiare (e, soprattutto, copiare bene) esige invettiva e spirito ardito.
IL PATTO Non la pensa così, invece, chi sta dall’altra parte della cattedra. Ma non solo. Qualche settimana fa, al Liceo Classico Parini di Milano, Paolo Aziani, professore di Storia e filosofia, ha proposto agli studenti la sottoscrizione di un Patto d’onore con il quale si impegnassero a rispettare alcune regole di “condotta morale” atte, anzitutto, a promuovere la meritorcrazia ed eliminare “comportamenti sleali”. Tre classi – la prima, la seconda e la terza della sezione C – hanno aderito dopo averne discusso in assemblea. La lettera parla chiaro: “Mi impegno a evitare ogni comportamento teso a falsare i risultati miei o di altri in occasione delle prove di verifica non mosso da speranza di premi o da timore di eventuali punizioni”. In poche parole, mi impegno a non copiare e a non far copiare. Alla base di questa scelta, la convinzione che “permettendo a un compagno di copiare in realtà lo si danneggia, non lo si aiuta”, come spiega una studentessa.
UNA QUESTIONE CULTURALE Il modello pare funzionare. Un mese dopo si può notare come non solo durante i compiti in classe l’atmosfera è molto più distesa, ma sembra anche che, nel periodo di “sperimentazione” la media voto sia salita, e di molto. Un sistema, quello del Patto d’onore, già da tempo in voga negli Stati Uniti. Oltreoceano, chi copia (e chi lo permette) rischia l’espulsione dall’istituto: “è un problema di cultura” – dice Michele Boldrin, professore di Economia alla Washington university in Saint Louis – “In Italia, chi dice al prof il nome di un compagno che copia, è una spia; negli USA è uno studente modello”. Non è un caso che nel Nuovo Continente, per “copiare” si usi il verbo “to cheat“, cioè “tradire”.
TUTTO SISTEMATO? Tuttavia c’è chi vede anche l’altra faccia della medaglia: secondo Fabio Varieschi, docente di Lettere del Liceo milanese, il Patto d’onore sarebbe “un pasticcio inutile, che deresponsabilizza i professori”, i quali hanno il dovere di “girare tra i banchi” onde evitare la proliferazione di “furbetti”. Ad ogni modo, non è certo con una firma che si creano persone leali e responsabili. Bisognerebbe dunque capire qual è, realmente, il ruolo della scuola: imporre insegnanti-carabinieri che però sono pagati per questo o promuovere accordi tra studenti e professori che però paiono essere nient’altro che espedienti formali per anscondere tendenze che comunque resteranno negli animi dei giovani firmatari? Pietro Crippa
dal blog imille
all'indirizzo
http://www.imille.org/2009/11/copiare-fare-la-spia-e-la-questione-morale/
Copiare, fare la spia e la questione morale
23.11.09 | 6 Comments
di Michele Boldrin (per noiseFromAmeriKa)
L’altro mattina ricevo la telefonata d’una giornalista italiana che lavora per una rivista di larga diffusione e con la quale avevo avuto contatti in precedenza.
Mi chiede un’opinione sul seguente fatto: sembra che al liceo classico Parini gli studenti abbiano deciso di firmare una promessa. La promessa, come confermano i giornali, è la seguente: non copierò e non lascerò copiare gli altri. Qualcosa di simile, mi dice, sta avvenendo in Bocconi. Apparentemente l’iniziativa degli studenti del Parini ha sollevato un certo dibattito, financo delle perplessità. La giornalista mi chiede un’opinione visto che gli studenti del Parini sostengono di ispirarsi al modello di uso comune nelle scuole e nelle università USA.
Io confermo: il codice d’onore (honor code) c’è. Gli studenti lo sottoscrivono all’ammissione ed esso richiede, fra le altre cose, di non copiare, non lasciare copiare e, anche, di denunciare chi copia. È pratica comune ed esiste, da quanto ne so, da tempo immemorabile. Certo che viene applicato, confermo: non è che diventiamo matti a sorvegliarli, anzi. Proprio grazie all’honor code si sorveglia relativamente poco, specialmente nelle classi più avanzate e meno massificate. Quando qualcuno viene beccato a copiare ed esiste prova inequivoca del fatto, sono guai seri. Si può arrivare all’espulsione, nei casi più gravi. Ne so bene qualcosa io, aggiungo, che nel mio primo semestre negli USA, mal abituato dai miei trascorsi italici, venni coinvolto in un episodio di copiatura nel quale io facevo la parte di quello che fa copiare i compagni di studio per “aiutarli”. Venni, appropriatamente e pesantemente, redarguito. Appresi al volo la lezione, spiego, intendendo che, in effetti, ciò che stavo facendo non consisteva nell’aiutare i miei compagni di studio ma danneggiarne invece degli altri (oltre a non aiutare, probabilmente, quelli che pensavo di aiutare). Non è un caso che il verbo che si usa per descrivere questi atti non sia tanto “to copy” ma, più usualmente, “to cheat”: lo stesso che si usa per indicare il tradimento (soprattutto matrimoniale, ma non solo) e la truffa. A “cheater” è una “very bad person” da queste parti.
Qui la conversazione si trasforma un po’ in un monologo, perché la giornalista è chiaramente sorpresa (così a me sembra, posso sbagliarmi) dalle mie affermazioni. Argomento, allora, che in un sistema di tipo meritocratico, in cui “chi fa bene a scuola” riceve premi sia professionali, sia in denaro, sia, soprattutto, si guadagna l’opportunità di essere ammesso a università di grande prestigio dove è molto difficile entrare (posti come Yale, Princeton o, for that matter, WUStL, accettano circa il 10% delle persone che fanno domanda d’ammissione al college). Poiché quasi tutte le grandi università private fanno le ammissioni “ciecamente” rispetto alla capacità di pagare (need-blind admission), questo implica che si viene ammessi essenzialmente in base al merito accademico. Se, una volta ammessi, si accetta l’iscrizione l’università di impegna a finanziare sia le tasse che i costi di residenza. Insomma, per una persona di famiglia poco abbiente fare bene, o benissimo, a scuola può fare tutta la differenza del mondo. Altrettanto ovviamente questo NON implica che qui ci sia il paradiso, né che tutti i meritevoli vadano a Cornell o a Columbia, eccetera. Ma il merito conta, eccome.
Siccome il merito è, alla fine, relativo (i posti a disposizione sono quelli, quindi se non sei nei primi cento, mille, diecimila … l’ammissione non la ricevi) ecco che far copiare colpisce due volte. Da un lato fa guadagnare un voto alto ad una persona che non lo merita e, dall’altro, spinge in basso nella classifica chi ha fatto bene da solo ma magari non benissimo come chi copia. E questo, spiego, giustifica il fatto che gli altri studenti si impegnino sia a non far copiare sia a denunciare chi copia o fa copiare. Così facendo difendono se stessi ma, allo stesso tempo, preservano l’integrità del sistema meritocratico. Almeno di quel poco (o tanto) che di esso ancora rimane. Perché, ovviamente, anche qui come in tutto il mondo, la gente cerca di copiare e, specialmente negli esami e nei compiti che si fanno a casa, la tendenza ad usare internet per fregare il sistema è forte e crescente. Sì, aggiungo, qui si danno gli esami da fare a casa. Io lo faccio sempre per le classi del secondo anno di PhD ed anche in alcune classe undergraduate. Mi aspetto che gli studenti rispettino l’honor code e che chi non lo fa venga denunciato dagli altri.
A questo punto la mia gentile interlocutrice è chiaramente perplessa e mi chiede “Ma questo vuol dire fare la spia!”, e mi racconta che anche lei, messa di fronte ad una situazione con sua figlia (non conosco l’età della figlia) le ha consigliato di permettere che la compagna di banco copiasse, visto che altrimenti sarebbe stata discriminata dal resto della scolaresca. E di “fare la spia”, neanche parlarne, ovviamente. Bel posto l’Italia, penso fra me e me: non si rendono conto che queste sono esattamente le radici culturali dell’evasione fiscale massificata, della corruzione e dell’impenetrabilità di tutte le caste, insomma del sistema mafioso? E sto parlando con una persona d’alta cultura che vive a Milano … E mi rendo conto che anche io vedevo le cose esattamente nella medesima maniera tre decadi fa, quindi inutile che mi stupisca. La gentile giornalista con cui sto parlando non è un’eccezione, è una persona normalissima.
La sua osservazione mi fa venire alla mente un’esperienza di circa 15 anni orsono con mio figlio e la scuola italiana di Madrid. La racconto anche a lei. Quarta elementare, arrivato da due mesi: torna a casa scazzatissimo e ci spiega che la maestra gli ha detto di non fare lo spione. Anzi, l’ha punito perché aveva riferito che quello che aggrediva gli altri causando liti era X, mentre Y e Z non c’entravano nulla. Essendo cresciuto sino allora negli USA a lui tutto questo sembra semplicemente assurdo e non si capacitava. Andiamo, va mia moglie, dalla maestra, ed ovviamente gliene dice quattro. Questa, che era anche una brava ragazza e faceva il suo lavoro decentemente, messa sulla difensiva non riesce a dire niente di più che “ah, certo, il controllo sociale”, stile Toni Negri per capirsi, e che capisce ma che se, per favore, spieghiamo a nostro figlio di lasciar stare perché per lei è molto difficile fare altrimenti … La conversazione con la giornalista milanese finisce qui con dei cordiali saluti. Non so cosa scriverà, e fa lo stesso. Il caso personale è scarsamente rilevante, anzi è irrilevante.
Conta il punto di fondo. A cui ora vengo. No, anzi, non vengo al punto: mi fermo anche io qui, perché il punto credo di averlo già fatto. Le radici della questione morale stanno anche, e soprattutto, in pratiche culturali come queste. O no?
all'indirizzo
http://www.imille.org/2009/11/copiare-fare-la-spia-e-la-questione-morale/
Copiare, fare la spia e la questione morale
23.11.09 | 6 Comments
di Michele Boldrin (per noiseFromAmeriKa)
L’altro mattina ricevo la telefonata d’una giornalista italiana che lavora per una rivista di larga diffusione e con la quale avevo avuto contatti in precedenza.
Mi chiede un’opinione sul seguente fatto: sembra che al liceo classico Parini gli studenti abbiano deciso di firmare una promessa. La promessa, come confermano i giornali, è la seguente: non copierò e non lascerò copiare gli altri. Qualcosa di simile, mi dice, sta avvenendo in Bocconi. Apparentemente l’iniziativa degli studenti del Parini ha sollevato un certo dibattito, financo delle perplessità. La giornalista mi chiede un’opinione visto che gli studenti del Parini sostengono di ispirarsi al modello di uso comune nelle scuole e nelle università USA.
Io confermo: il codice d’onore (honor code) c’è. Gli studenti lo sottoscrivono all’ammissione ed esso richiede, fra le altre cose, di non copiare, non lasciare copiare e, anche, di denunciare chi copia. È pratica comune ed esiste, da quanto ne so, da tempo immemorabile. Certo che viene applicato, confermo: non è che diventiamo matti a sorvegliarli, anzi. Proprio grazie all’honor code si sorveglia relativamente poco, specialmente nelle classi più avanzate e meno massificate. Quando qualcuno viene beccato a copiare ed esiste prova inequivoca del fatto, sono guai seri. Si può arrivare all’espulsione, nei casi più gravi. Ne so bene qualcosa io, aggiungo, che nel mio primo semestre negli USA, mal abituato dai miei trascorsi italici, venni coinvolto in un episodio di copiatura nel quale io facevo la parte di quello che fa copiare i compagni di studio per “aiutarli”. Venni, appropriatamente e pesantemente, redarguito. Appresi al volo la lezione, spiego, intendendo che, in effetti, ciò che stavo facendo non consisteva nell’aiutare i miei compagni di studio ma danneggiarne invece degli altri (oltre a non aiutare, probabilmente, quelli che pensavo di aiutare). Non è un caso che il verbo che si usa per descrivere questi atti non sia tanto “to copy” ma, più usualmente, “to cheat”: lo stesso che si usa per indicare il tradimento (soprattutto matrimoniale, ma non solo) e la truffa. A “cheater” è una “very bad person” da queste parti.
Qui la conversazione si trasforma un po’ in un monologo, perché la giornalista è chiaramente sorpresa (così a me sembra, posso sbagliarmi) dalle mie affermazioni. Argomento, allora, che in un sistema di tipo meritocratico, in cui “chi fa bene a scuola” riceve premi sia professionali, sia in denaro, sia, soprattutto, si guadagna l’opportunità di essere ammesso a università di grande prestigio dove è molto difficile entrare (posti come Yale, Princeton o, for that matter, WUStL, accettano circa il 10% delle persone che fanno domanda d’ammissione al college). Poiché quasi tutte le grandi università private fanno le ammissioni “ciecamente” rispetto alla capacità di pagare (need-blind admission), questo implica che si viene ammessi essenzialmente in base al merito accademico. Se, una volta ammessi, si accetta l’iscrizione l’università di impegna a finanziare sia le tasse che i costi di residenza. Insomma, per una persona di famiglia poco abbiente fare bene, o benissimo, a scuola può fare tutta la differenza del mondo. Altrettanto ovviamente questo NON implica che qui ci sia il paradiso, né che tutti i meritevoli vadano a Cornell o a Columbia, eccetera. Ma il merito conta, eccome.
Siccome il merito è, alla fine, relativo (i posti a disposizione sono quelli, quindi se non sei nei primi cento, mille, diecimila … l’ammissione non la ricevi) ecco che far copiare colpisce due volte. Da un lato fa guadagnare un voto alto ad una persona che non lo merita e, dall’altro, spinge in basso nella classifica chi ha fatto bene da solo ma magari non benissimo come chi copia. E questo, spiego, giustifica il fatto che gli altri studenti si impegnino sia a non far copiare sia a denunciare chi copia o fa copiare. Così facendo difendono se stessi ma, allo stesso tempo, preservano l’integrità del sistema meritocratico. Almeno di quel poco (o tanto) che di esso ancora rimane. Perché, ovviamente, anche qui come in tutto il mondo, la gente cerca di copiare e, specialmente negli esami e nei compiti che si fanno a casa, la tendenza ad usare internet per fregare il sistema è forte e crescente. Sì, aggiungo, qui si danno gli esami da fare a casa. Io lo faccio sempre per le classi del secondo anno di PhD ed anche in alcune classe undergraduate. Mi aspetto che gli studenti rispettino l’honor code e che chi non lo fa venga denunciato dagli altri.
A questo punto la mia gentile interlocutrice è chiaramente perplessa e mi chiede “Ma questo vuol dire fare la spia!”, e mi racconta che anche lei, messa di fronte ad una situazione con sua figlia (non conosco l’età della figlia) le ha consigliato di permettere che la compagna di banco copiasse, visto che altrimenti sarebbe stata discriminata dal resto della scolaresca. E di “fare la spia”, neanche parlarne, ovviamente. Bel posto l’Italia, penso fra me e me: non si rendono conto che queste sono esattamente le radici culturali dell’evasione fiscale massificata, della corruzione e dell’impenetrabilità di tutte le caste, insomma del sistema mafioso? E sto parlando con una persona d’alta cultura che vive a Milano … E mi rendo conto che anche io vedevo le cose esattamente nella medesima maniera tre decadi fa, quindi inutile che mi stupisca. La gentile giornalista con cui sto parlando non è un’eccezione, è una persona normalissima.
La sua osservazione mi fa venire alla mente un’esperienza di circa 15 anni orsono con mio figlio e la scuola italiana di Madrid. La racconto anche a lei. Quarta elementare, arrivato da due mesi: torna a casa scazzatissimo e ci spiega che la maestra gli ha detto di non fare lo spione. Anzi, l’ha punito perché aveva riferito che quello che aggrediva gli altri causando liti era X, mentre Y e Z non c’entravano nulla. Essendo cresciuto sino allora negli USA a lui tutto questo sembra semplicemente assurdo e non si capacitava. Andiamo, va mia moglie, dalla maestra, ed ovviamente gliene dice quattro. Questa, che era anche una brava ragazza e faceva il suo lavoro decentemente, messa sulla difensiva non riesce a dire niente di più che “ah, certo, il controllo sociale”, stile Toni Negri per capirsi, e che capisce ma che se, per favore, spieghiamo a nostro figlio di lasciar stare perché per lei è molto difficile fare altrimenti … La conversazione con la giornalista milanese finisce qui con dei cordiali saluti. Non so cosa scriverà, e fa lo stesso. Il caso personale è scarsamente rilevante, anzi è irrilevante.
Conta il punto di fondo. A cui ora vengo. No, anzi, non vengo al punto: mi fermo anche io qui, perché il punto credo di averlo già fatto. Le radici della questione morale stanno anche, e soprattutto, in pratiche culturali come queste. O no?
1o nov 2009
Copiare di Maurizio Crosetti
Copiare a volte era utile, far copiare era sempre piacevole. Non si trattava di inganno ma di solidarietà. Era come entrare in cordata nelle viscere di un mostro chiamato versione o, peggio, compito in classe di matematica: lui sì un abominio, non certo il foglietto che ci si passava anche per essere meno soli. Ora il milanese liceo Parini fa firmare un “patto d’onore” contro le copiature. Lo chiamano codice contro il malcostume, invece è solo egoismo nero su bianco. Non copiatelo.
http://crosetti.blogautore.repubblica.it/2009/11/10/copiare/
9 novembre 2009
Al liceo Parini gli alunni si impegnano a non copiare
dal blog Luce d'Inverno
http://morgana-lucedinverno.blogspot.com/2009/11/al-liceo-parini-gli-alunni-simpegnano.html
" Sul mio onore mi impegno a non copiare e a non lasciar copiare" E' un giuramento, un patto morale che hanno sottoscritto gli allievi di tre classi del Liceo Parini di Milano. Sulla scia dei modelli delle università straniere , un professore di storia e filosofia ha proposto questa sorta di codice d'onore agli studenti , che , dopo dibattiti e discussioni, hanno accettato. S'impegnano dunque non solo a non copiare e non lasciar copiare ma anche a non suggerire e a non compiere comunque atti che possano falsare le valutazioni personali degli allievi. Il concetto di base è giusto, ma mi mette tristezza pensare che d'ora in poi gli studenti di queste classi si comporteranno davvero così, intransigenti e tutti concentrati su se stessi. In una classe lo spirito di collaborazione è importante,è un collante che tiene unite tante personalità diverse e con diverse capacità. Copiare sempre, senza impegnarsi, logicamente è un male, è controproducente, non s'impara niente, non si cresce e alla fine dei conti non paga . Ma esistono delle circostanze, dei momenti in cui, anche se non si vuole approvare la scopiazzatura, ma la collaborazione, il darsi una mano l'un l'altro è importante,è anche questa un'occasione di crescita ,di cooperazione. Quante volte lo sgobbone di turno, un pò emarginato dal resto della classe si è guadagnato rispetto e amicizia con qualche risposta passata sotto banco , quante volte un mezzo suggerimento soffiato a bassa voce ha sbloccato l'interrogazione di un ragazzo preparato ma rimasto in panne su una domanda. E tutto quel divertente, caotico passarsi bigliettini con una frase tradotta, il risultato di un problema, uno spunto per un tema d'italiano. Piuttosto che trasformarli in protettori intransigenti del proprio sapere, i ragazzi dovrebbero essere spronati invece a condividere quello che hanno imparato, a mettere ciascuno a disposizione di tutti il proprio talento, perchè quasi tutti, escluso quelli che non hanno alcuna voglia di studiare e imparare, abbiamo le nostre capacità particolari, anche a volte nascoste,c'è chi è bravo a memorizzare date o nozioni geografiche, chi è bravo in matematica, chi nelle materie umanistiche,chi è capace anche solo di prendere appunti velocemente o di assorbire subito quello che viene spiegato in classe dai professori, chi è bravo a riassumere, chi è più portato per le lingue straniere. Aiutandosi a vicenda, cooperando tutti attivamente, si avrebbe un nuovo modo più giusto di imparare e anche di vivere la scuola, perchè studiare non è una gara senza esclusione di colpi, studiare è apprendere, allargare i propri orizzonti, capire ,discutere, anche dissentire da quel che ci viene proposto, studiare è anche vivere insieme in armonia questi anni che forse sono tra i più importanti della nostra vita.
10 nov 2009
Io non copio, tu non copi egli non copia
di Diana Veneri
http://www.universy.it/scuola/news/io_non_copio_tu_non_copi_egli_non_copia-2836.html
L’idea nata alla Bocconi si diffonde anche in altre scuole.
“Mi impegno a evitare ogni comportamento teso a falsare i risultati miei o di altri in occasione delle prove di verifica”. Un patto, questo,sottoscritto dai liceali di tre classi del Liceo "Parini" di Milano. Un vero e proprio "codice d'onore" elaborato dal professore di storia e filosofia, Paolo Aziani, al fine di ridurre i casi di plagio, ma più semplicemente di "copiatura", durante i compiti in classe. L'idea è sorta in seguito a spiacevoli episodi di "scoppiazzamento" registrati tra le aule scolastiche, sulla base di un esperimento condotto dall'Università Bocconi. Agli esami si presentavano gli studenti con la maggior preparazione, in possesso del tesserino di altri compagni.
Dopo svariati tentativi di incoraggiamento durati circa due settimane, gli alunni hanno ceduto apponendo così la loro firma in calce sul decalogo dei valori. Il cosiddetto "codice d'onore" servirà, forse, a inculcare nella mente dei giovani studenti il concetto di "danneggiamento ai danni di un compagno", ma probabilmente anche di loro stessi che, in futuro, dovranno fare i conti con una dimensione sociale e lavorativa nella quale non sarà consentito imboccare la strada più comoda, senza impedimenti o ostacoli da superare.
Alzi la mano chi a scuola non ha mai fatto copiare, o non ha mai copiato da un compagno?
Purtroppo ci siamo passati tutti, soprattutto al liceo dove il traguardo finale per uno studente è contrassegnato dal giudizio e non di certo dal sapere conquistato.
Il voto scolastico condiziona il comportamento degli alunni, in quanto rappresenta l'ago della bilancia che pende da una parte o dall'altra: promosso o bocciato. Per questo motivo, numerosi studenti fanno carte false pur di avere una buona media, senza sapere talvolta neanche quanto fa 2+2. Mediante questo nuovo codice si spera di sensibilizzare gli studenti verso un comportamento corretto, prima di tutto verso sè stessi poi nei confronti del prossimo, attraverso l'idea che "studiando e impegnandosi" si possono ottenere buoni risultati, senza alcun ricorso a "strategie" particolari. Ammettiamolo, la soddisfazione è molto più elevata,quando affrontiamo e superiamo un problema con le nostre proprie forze e in maniera onesta.
Copiare di Maurizio Crosetti
Copiare a volte era utile, far copiare era sempre piacevole. Non si trattava di inganno ma di solidarietà. Era come entrare in cordata nelle viscere di un mostro chiamato versione o, peggio, compito in classe di matematica: lui sì un abominio, non certo il foglietto che ci si passava anche per essere meno soli. Ora il milanese liceo Parini fa firmare un “patto d’onore” contro le copiature. Lo chiamano codice contro il malcostume, invece è solo egoismo nero su bianco. Non copiatelo.
http://crosetti.blogautore.repubblica.it/2009/11/10/copiare/
9 novembre 2009
Al liceo Parini gli alunni si impegnano a non copiare
dal blog Luce d'Inverno
http://morgana-lucedinverno.blogspot.com/2009/11/al-liceo-parini-gli-alunni-simpegnano.html
" Sul mio onore mi impegno a non copiare e a non lasciar copiare" E' un giuramento, un patto morale che hanno sottoscritto gli allievi di tre classi del Liceo Parini di Milano. Sulla scia dei modelli delle università straniere , un professore di storia e filosofia ha proposto questa sorta di codice d'onore agli studenti , che , dopo dibattiti e discussioni, hanno accettato. S'impegnano dunque non solo a non copiare e non lasciar copiare ma anche a non suggerire e a non compiere comunque atti che possano falsare le valutazioni personali degli allievi. Il concetto di base è giusto, ma mi mette tristezza pensare che d'ora in poi gli studenti di queste classi si comporteranno davvero così, intransigenti e tutti concentrati su se stessi. In una classe lo spirito di collaborazione è importante,è un collante che tiene unite tante personalità diverse e con diverse capacità. Copiare sempre, senza impegnarsi, logicamente è un male, è controproducente, non s'impara niente, non si cresce e alla fine dei conti non paga . Ma esistono delle circostanze, dei momenti in cui, anche se non si vuole approvare la scopiazzatura, ma la collaborazione, il darsi una mano l'un l'altro è importante,è anche questa un'occasione di crescita ,di cooperazione. Quante volte lo sgobbone di turno, un pò emarginato dal resto della classe si è guadagnato rispetto e amicizia con qualche risposta passata sotto banco , quante volte un mezzo suggerimento soffiato a bassa voce ha sbloccato l'interrogazione di un ragazzo preparato ma rimasto in panne su una domanda. E tutto quel divertente, caotico passarsi bigliettini con una frase tradotta, il risultato di un problema, uno spunto per un tema d'italiano. Piuttosto che trasformarli in protettori intransigenti del proprio sapere, i ragazzi dovrebbero essere spronati invece a condividere quello che hanno imparato, a mettere ciascuno a disposizione di tutti il proprio talento, perchè quasi tutti, escluso quelli che non hanno alcuna voglia di studiare e imparare, abbiamo le nostre capacità particolari, anche a volte nascoste,c'è chi è bravo a memorizzare date o nozioni geografiche, chi è bravo in matematica, chi nelle materie umanistiche,chi è capace anche solo di prendere appunti velocemente o di assorbire subito quello che viene spiegato in classe dai professori, chi è bravo a riassumere, chi è più portato per le lingue straniere. Aiutandosi a vicenda, cooperando tutti attivamente, si avrebbe un nuovo modo più giusto di imparare e anche di vivere la scuola, perchè studiare non è una gara senza esclusione di colpi, studiare è apprendere, allargare i propri orizzonti, capire ,discutere, anche dissentire da quel che ci viene proposto, studiare è anche vivere insieme in armonia questi anni che forse sono tra i più importanti della nostra vita.
10 nov 2009
Io non copio, tu non copi egli non copia
di Diana Veneri
http://www.universy.it/scuola/news/io_non_copio_tu_non_copi_egli_non_copia-2836.html
L’idea nata alla Bocconi si diffonde anche in altre scuole.
“Mi impegno a evitare ogni comportamento teso a falsare i risultati miei o di altri in occasione delle prove di verifica”. Un patto, questo,sottoscritto dai liceali di tre classi del Liceo "Parini" di Milano. Un vero e proprio "codice d'onore" elaborato dal professore di storia e filosofia, Paolo Aziani, al fine di ridurre i casi di plagio, ma più semplicemente di "copiatura", durante i compiti in classe. L'idea è sorta in seguito a spiacevoli episodi di "scoppiazzamento" registrati tra le aule scolastiche, sulla base di un esperimento condotto dall'Università Bocconi. Agli esami si presentavano gli studenti con la maggior preparazione, in possesso del tesserino di altri compagni.
Dopo svariati tentativi di incoraggiamento durati circa due settimane, gli alunni hanno ceduto apponendo così la loro firma in calce sul decalogo dei valori. Il cosiddetto "codice d'onore" servirà, forse, a inculcare nella mente dei giovani studenti il concetto di "danneggiamento ai danni di un compagno", ma probabilmente anche di loro stessi che, in futuro, dovranno fare i conti con una dimensione sociale e lavorativa nella quale non sarà consentito imboccare la strada più comoda, senza impedimenti o ostacoli da superare.
Alzi la mano chi a scuola non ha mai fatto copiare, o non ha mai copiato da un compagno?
Purtroppo ci siamo passati tutti, soprattutto al liceo dove il traguardo finale per uno studente è contrassegnato dal giudizio e non di certo dal sapere conquistato.
Il voto scolastico condiziona il comportamento degli alunni, in quanto rappresenta l'ago della bilancia che pende da una parte o dall'altra: promosso o bocciato. Per questo motivo, numerosi studenti fanno carte false pur di avere una buona media, senza sapere talvolta neanche quanto fa 2+2. Mediante questo nuovo codice si spera di sensibilizzare gli studenti verso un comportamento corretto, prima di tutto verso sè stessi poi nei confronti del prossimo, attraverso l'idea che "studiando e impegnandosi" si possono ottenere buoni risultati, senza alcun ricorso a "strategie" particolari. Ammettiamolo, la soddisfazione è molto più elevata,quando affrontiamo e superiamo un problema con le nostre proprie forze e in maniera onesta.
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