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Università: scelte poco strategiche

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Università: scelte poco strategiche  Empty Università: scelte poco strategiche

Messaggio  Gilberto Carron Mar Mag 29, 2012 2:00 pm

È possibile evitare o comunque ridurre il rischio di una scelta universitaria deludente e i successivi pentimenti?

Forse, le famiglie dovrebbero iniziare a discuterne presto, al momento di decidere quale scuola superiore far frequentare ai propri figli.

In tanti abbiamo scelto la facoltà universitaria un po’ “a casaccio”. Stendiamo un velo sugli autori, e parliamo degli amici. Guido, un amico di Nicola, si era iscritto alla Bocconi perché vicina a casa. E suo fratello minore lo aveva poi seguito perché, insomma, facevano tutto assieme. Daniela, un’amica di Pamela, le ha recentemente raccontato di aver deciso per la facoltà di Sociologia aprendo a caso il libretto di guida alle facoltà universitarie, ma riservandosi un secondo tentativo se fosse uscita Giurisprudenza o Medicina.

RIMPIANTI TRA UNIVERSITÀ E LAVORO

Sospettiamo che questi aneddoti, magari in forme meno estreme, non siano rari. E che un certo disorientamento al momento di decidere la facoltà universitaria sia piuttosto comune. Ciò può condurre a scelte più intuitive che ragionate. Alcuni poi per fortuna si ritrovano soddisfatti; altri purtroppo molto meno. Sebbene sia difficile fornire una stima precisa, una percentuale significativa di laureati dichiara di avere dei rimpianti. Ad esempio, una recente rilevazione rivela che il 23 per cento degli italiani è pentito della facoltà universitaria seguita, e un ulteriore 7 per cento frequenterebbe di nuovo la stessa facoltà, ma in una università diversa.

Le conseguenze di “facoltà scelte male” si vedono sul mercato del lavoro. Oltre il 20 per cento dei lavoratori italiani dichiarano di trovarsi in un cattivo match lavorativo: le loro mansioni lavorative non corrispondono alle competenze acquisite negli studi. È quindi lecito chiedersi se, e con quale frequenza, la scelta dell’università sia fatta guardando avanti, al mercato del lavoro. Forse non così spesso.

Il sospetto sorge anche perché sappiamo da altre fonti che, in aggregato, la scelta della facoltà universitaria in Italia è poco allineata con le esigenze del mercato del lavoro.

Attenzione: non vogliamo necessariamente dire che si debba o possa cambiare il modo in cui i giovani scelgono la facoltà universitaria. È possibile, e in parte condivisibile, che la scelta venga fatta seguendo i propri gusti e le proprie passioni più che pensando al lavoro futuro. È anche vero, però, che non pochi laureati dichiarano di avere rimpianti e che un numero significativo è sottooccupato o disoccupato. E allora, ci chiediamo: c’è spazio per evitare o comunque ridurre il rischio di una scelta universitaria deludente, e i successivi rimpianti? Ciò non vuol dire scegliere pensando solo al portafoglio, ma significa pensare anche a quello, assieme ad altre considerazioni. E, soprattutto, significa fare una scelta ragionata.

UN PROCESSO POCO RAGIONATO

È difficile sapere quanto, in media, sia ragionato il processo che porta alla scelta della facoltà universitaria. Semplificando, ci sono almeno un paio di fattori che possono determinarla. Partiamo da lontano. Il tipo di istruzione secondaria influisce considerevolmente sulla scelta della facoltà universitaria. Per fare un esempio su tanti, chi studia ragioneria alle superiori poi tende a iscriversi alla facoltà di economia e commercio.

Ma come si decide, allora, la scuola superiore? Una recente ricerca mostra che sono i giovani stessi spesso a guidare il processo di scelta. E la maggior parte dei quattordicenni non sembra proprio conoscere l’ordine di grandezza di un salario corrispondente a un diploma e a una laurea. I genitori stessi faticano a rispondere alla domanda. Inoltre, questa prima decisione sembra presa senza guardare troppo avanti, alle successive scelte della facoltà universitaria o del tipo di lavoro.

Se quindi i ragazzi intraprendono l’istruzione secondaria in maniera poco strategica, che cosa si sa della scelta universitaria? Non molto, in realtà. La nostra sensazione, necessariamente aneddotica, è che, in molti casi, non sia fatta sempre con grande attenzione al mercato del lavoro. E i dati riportati sopra sembrano offrire qualche supporto a questa sensazione.

In conclusione: non pochi italiani rimpiangono la scelta della facoltà universitaria. Ci sembra plausibile che molti rimpianti riflettano l’essersi trovati spiazzati sul mercato del lavoro, in parte per la poca “rivendibilità” di certe lauree, scelte magari senza grande pianificazione strategica. Focalizzandoci su questo aspetto, ci chiediamo: si può pianificare meglio il tipo di “capitale umano” che si acquisisce fra i 14 e i 25 anni?

A chi crede di sì, suggeriamo di avvicinarsi a questa scelta in maniera ragionata, già a partire dalla selezione della scuola superiore. Spingendoci oltre il nostro seminato (siamo solo economisti, dopo tutto) ci permettiamo di suggerire a quelle famiglie che si vogliono porre il problema del mercato del lavoro per i propri figli, di mettere la questione sul tavolo. E, per quanto possibile, di discutere esplicitamente, strategicamente, e in maniera informata l’acquisizione di capitale umano dei figli. In fondo, questa è una delle scelte più importanti nella vita di una persona.
Pamela Giustinelli e Nicola Persico Embarassed Embarassed Embarassed
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